domenica 2 maggio 2021

Sinistra: marketing per l'uso

Ieri sera si è consumato uno scandaloso e inconcepibile spostamento a sinistra del concerto del primo maggio, e la cosa che fa riflettere è che di questa virata decisa è stato autore nientemeno che Fedez. Partiamo da qui.

La sinistra in TV si è ammorbidita, non ci sono cazzi. In TV c'è sempre questo freno a mano tirato per non offendere questo sponsor o quell'altro, e alla fine ci restano in mano solo sbiaditi tentativi di dire qualcosa di sinistra e nient'altro. Il fatto che Fedez sia salito sul palco a difendere i lavoratori dello spettacolo e il DDL Zan creando tutto questo scompiglio la dice lunga su quanto siamo disabituati a sentirci sbattere in faccia alcune questioni. Se il Presidente del Consiglio si preoccupa del mondo del calcio e non dei lavoratori dello spettacolo è giusto che, almeno nel giorno dedicato ai lavoratori, qualcuno lo dica chiaro e tondo, e quel qualcuno non può essere solo l'associazione di categoria che scende in piazza.
La virata che fa cadere col culo per terra l'intero equipaggio, poi, è la catilinaria contro i consiglieri della Lega che ostracizzano il DDL Zan. Praticamente Fedez in un quarto d'ora riporta lo status del concerto del primo maggio da Battiti Live alla sua natura di manifestazione schierata a sinistra. Il che doveva servire davvero se, nel frattempo, Salvini pretendeva di non fare politica sul palco del primo maggio, come se ci trovassimo a un Festival di Sanremo qualsiasi. Lo scontro di piatti in piena faccia che ha colpito tutti quanti è stato notevole: il "di' qualcosa di sinistra" morettiano nella sua manifestazione più inaspettata che arriva da un soggetto che la sinistra ha sempre schifato, diciamoci la verità.
Ma quello che ha fatto fare qualche capriola sulla sedia in casa Rai e che, inevitabilmente, porterà qualcuno a distribuire curriculum la prossima settimana, è il tentativo di censura che Fedez, da comunicatore navigato qual è, sputtana in un video che fa più scandalo del discorso stesso.
Sostanzialmente dai vertici gli dicono che è inopportuno fare nomi e cognomi, che si va allo scontro con un sistema, che non si può, che la nonna non vuole, che mamma ci rincorre con lo zoccolo di legno. Sembrerebbe che io stia facendo ironia, ma il problema è esattamente questo. Ci fosse l'intenzione ideologica potrei pure capire, non sarebbe giustificabile in nessun modo ovviamente, ma almeno ci sarebbe una spiegazione razionale. No. Quello che è peggio e che viene fuori dalla telefonata è che i vertici Rai non vogliono assumersi l'onere della polemica del giorno dopo. È quello che preoccupa, non l'ideologia avversaria. Si saranno detti "Se ci limitiamo a farli cantare e al discorso di Landini che, alla fine, è sempre quello e non sposta l'attenzione più di tanto, domani ci saremo scordati del concerto", che poi è quello che accade da almeno quindici anni ormai.
Quest'anno, però, arriva Fedez a rompere i coglioni, a dire che si assumerà la responsabilità di quello che dirà parola per parola perché non ha alcuna paura di ritorsioni legali: quello che dirà è tutto vero, documentato, nero su bianco, inoppugnabile. Ma, soprattutto, ha soldi per pagare gli uffici legali della Rai per i prossimi due anni, quindi non si preoccupa proprio. In Rai rispondono che non si può e lui, schiettamente, fa il domandone che nessuno ha mai avuto l'audacia di fare: nel futuro della Rai ci sono i diritti civili o no? Nessuna risposta.
È questa incertezza sul tema che lascia spiazzati. Perché non siamo su una rete privata su cui in prima serata si permette a due bifolchi di sabotare un sacrosanto disegno di legge. Siamo su una TV pubblica, ma di questo ci ricordiamo solo quando schifiamo il superospite di Sanremo. Mi fa un po' senso una TV pubblica che non è in grado di prendere una posizione sui diritti civili. Anche perché la TV privata mica fa la schizzinosa quando si tratta di "educare" gli spettatori, no. Pio e Amedeo hanno chiaramente avuto il mandato di sabotare il DDL Zan in prima serata: non mi stupirebbe se si fosse trattato di uno scambio ad hoc. E non credo di ingigantire la cosa, perché quando ti permetti di dirmi cosa devo fare quando mi insultano, stai - neanche troppo implicitamente - dicendo che se serve una legge a difendermi è colpa mia che non ho senso dell'umorismo, quindi è una legge inutile, "non prioritaria" appunto. Ma questo avviene su una TV privata che passa programmi in cui morti di fama sono rinchiusi in case o isole, quindi non posso avere alcuna aspettativa di pluralità o senso critico. La Rai dovrebbe funzionare diversamente.
Ma evidentemente mi sbaglio. In fondo va bene un po' a tutti questo farisaismo di base che permea le discussioni della TV di Stato, persino alla sinistra che ogni tanto si dimentica da che parte stare.
Peccato che ieri sera a darci lezioni di sinistra sia stato il capitalismo.

lunedì 26 aprile 2021

Storie di beveroni tutte uguali

 

Ciò che il lockdown ci ha lasciato in eredità dallo scorso anno a oggi, oltre al numero impressionante di applicazioni per videocall e webinar, è la sovraesposizione sui social di pasticche e beveroni.
Siamo passati dal selfie con gli integratori accompagnato dalle frasi di Osho alla dettagliata descrizione delle occupazioni quotidiane, tutte riprese in stories che si moltiplicavano man mano che la fase 2 si allontanava anziché avvicinarsi; oggi, al secondo finale di stagione della Zona Rossa, le stories di dieci secondi con scadenza ogni 24 ore sono diventate veri e propri kolossal che Ben Hur scansate.
Che fanno di male da venditori 'sti poveri Cristi? Niente. Arrotondano come possono, e in un momento come questo non si può fare gli schizzinosi, quindi il network marketing potrebbe pure essere una risorsa (finché non diventa schema Ponzi).
Quindi avanti tutta con la promozione di programmi alimentari miracolosi e mirabolanti accompagnati da foto di risultati "sorprendenti", "incredibili", "immediati".
Quello che mi lascia perplessa di questa attività, e che a volte davvero mi fa dubitare della buona fede, è che ci si presenta con convinzione come guru dell'alimentazione e del benessere psicofisico senza alcuna preparazione, ma solo lo scudo del "sono tutti ingredienti naturali". Ragazzi miei, io mo' non vojo rompe er ca', ma il fatto che lo zucchero sia un ingrediente naturale non significa che possano assumerlo tutti in quantità stabilite da un tizio X in modo standardizzato. Solo io penso che sia una cosa pericolosa?
Sui social è pieno di giovani e meno giovani che cercano soluzioni miracolose e immediate per porre rimedio a un disagio che, semmai, è un affare risolvibile solo con un professionista serio, ed è su queste persone che queste aziende fanno leva per fatturare. Mi fa seriamente impressione che ci siano soggetti che sfruttano le debolezze altrui in questo modo, soprattutto vantando l'immunità dietro avvertenze minuscole copincollate sotto foto prima-e-dopo di culi scultorei.
Io non faccio testo perché ho abbracciato la filosofia carbo-gandhiana - se non mi togliete i carboidrati non divento violenta -, quindi non tradirò mai il panzerotto (se mentre stai leggendo ti stai domandando se fritto o al forno, sappi che esiste UN panzerotto ed è FRITTO), ma trovo in qualche modo fastidiose le storie con "la versione migliorata di te stessa", "se vuoi, con il nostro aiuto puoi" o "ci riesci se davvero ci tieni": 'sti polpettoni non li subivo neanche quando provavo a raggirare la mia nutrizionista (ed ero talmente incapace di farlo che ho mollato definitivamente nel lontano 2010). Non si può giocare così con le insicurezze e la salute delle persone, soprattutto se non c'è neanche uno straccio di competenza in materia perché, diciamolo chiaramente, si tratta di venditori arruolati da altri venditori che promuovono soluzioni imprenditoriali più che consigli nutrizionali.
Praticamente siamo passati dal promuovere contenitori per gli alimenti a promuovere alimenti per contenitori (in questo caso umani).
Per favore, smettiamola. Torniamo alle aspirapolveri e alle enciclopedie come una volta.

Sono anche disposta a rispondervi al citofono.

giovedì 22 aprile 2021

Zona Rosso Campari

 

Che ci fosse un po' di polentonismo nei provvedimenti adottati fino a ora per contenere la pandemia era un sospetto leggerissimo, esternato a voce bassa, con lo stesso impeto coraggioso con cui provi a correggere il professore di storia che ha sbagliato una data. Perciò adesso, dopo un anno, diciamolo apertamente: i DPCM hanno sin dall'inizio strizzato l'occhio all'ossobuco e al prosecco, schifando gli orari e le abitudini del sud.
Così, quando hanno disposto la chiusura di bar e locali entro le ore 18:00 per noi del sud è stato un problema, perché se a Milano alle 17:00 la penna cade sulla scrivania e puoi decidere di anticipare lo spritz di un'oretta soltanto, al sud questo non lo puoi fare. L'aperitivo al sud non si fa prima delle otto. Alle 17:00 a Barletta gli alcolici li beve Tonino Monteverde; al sud alle 17:00 prendiamo il caffè perché a quell'ora comincia l'altra mezza giornata di lavoro.
Nei giorni feriali non esiste che alle 17:00 scendi a fare l'aperitivo al baretto sotto casa perché, la cosa ha dell'incredibile, ma anche al sud lavoriamo e gli orari decisi dai DPCM di questo e quell'altro governo sono compatibili solo con l'orario continuato, e qui, scusate, l'orario continuato è una cosa che nessun negoziante sano di mente farebbe. Alle due del pomeriggio, con 40° all'ombra, di girare per un paio di sandali o un vestito non se ne parla. Si esce dopo le 19:00, si finisce con le commissioni intorno alle 21:30 (sì, dai negozi non si esce entro le 21:00, mai) e si sta in giro fino a mezzanotte almeno. Questo nei giorni feriali, dicevamo.
Nel fine settimana, invece, se fai orario continuato sei, come si dice dalle nostre parti, ziæn all'enél (paghi la bolletta della luce a vuoto): se va bene, si va per negozi dalle 19:30 perché prima devi "salire dal mare", farti una doccia e renderti presentabile. Per prepararsi per la serata c'è tempo, tanto al solito posto non arriva nessuno prima delle 22:00.
Ecco, questo era il cronoprogramma delle serate prima dei DPCM, del coprifuoco e dell'asporto.
Oh, l'asporto, che grandiosa invenzione! Invito il CTS a Barletta un sabato sera di un gennaio qualsiasi, verso le due del mattino, con -10°: siamo in giro senza nessun problema. Dice: non fa freddo? Stanno i funghi, e quando sono rotti (quasi sempre) basta l'idea che ci siano a scaldarci. Non importa se sia estate o inverno, ci sia pioggia o grandine, noi stiamo in giro e se prendiamo da bere stiamo in piedi davanti ai locali anche tutta la serata. Non è cattiveria, è che ci disegnano così. Paradossalmente il CTS si sarebbe fatto un favore obbligando i cittadini a fare serata seduti a un tavolo: quantomeno si sarebbe potuto controllare il distanziamento.
Ecco perché il coprifuoco alle 22:00 in piena estate è stato accolto in modo così entusiasta da tutti, anche da chi è molto rigoroso rispetto alle regole da seguire: col coprifuoco alle 22:00 la serata non ha proprio amore. Alle 22:00 si esce e la serata finisce non prima delle 3:00, e anche oltre, perché la serata si chiude con il cornetto.
Scherzi a parte, è un provvedimento ottuso che se già al nord è difficilissimo da digerire, al sud è incomprensibile perché non tiene conto delle peculiarità dei territori: non puoi pensare di tenere in casa dalle 22:00 alle 5:00 gente che abita in zone che toccano facilmente i 35/40°. Sulla costa poi.
Siamo in zona rossa, non ci sono controlli e c'è gente che esce senza problemi per i motivi più disparati e qui si firmano i DPCM col coprifuoco alle 22:00 fino al 31 luglio.
"Eh, ma sicuramente lo posticiperanno se i numeri lo permetteranno".
Ecco, appunto, aspettate. Prima di annunciare misure inattuabili fino a date improbabili, aspettate. Perché questo coprifuoco è un insulto a chi ha rispettato le regole finora: sappiamo tutti che non ci sono né risorse né coraggio di fare rispettare questa norma assurda, quindi è come dire "Bravi i fessi: le regole che state rispettando sono talmente cretine che siete più cretini voi a rispettarle".
Caro CTS, sei tu il cretino. Perché, dopo un anno, di supercazzole che vengono boicottate creando situazioni fuori controllo ne abbiamo piene le borse mare.
Se supercazzole devono essere, che almeno ci facciano capire che ci avete provato.

mercoledì 30 aprile 2014

Bisognerebbe spiegarlo alle madri



Bisognerebbe spiegarlo alle madri che nelle aule delle Università applaudono alla proclamazione a Dottore del proprio figlio. Bisognerebbe dirlo a loro che nulla è scontato e giusto, che se quel figlio si fosse trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato quegli applausi si sarebbero tradotti in dolore e incredulità. Bisognerebbe spiegarlo alle madri che non si chiamano Patrizia Moretti.

Bisognerebbe spiegarlo alle sorelle che scelgono il fiore all’occhiello per il fratello designato quale testimone di nozze nel giorno più importante. Occorre dirlo a loro che basta un niente, un pregiudizio, per trasformare quel fiore all’occhiello in un cuscino funebre. Bisognerebbe spiegarlo alle sorelle che non si chiamano Ilaria Cucchi.

Bisognerebbe spiegarlo ai padri che diventeranno nonni e insegneranno ai nipotini a batter le manine. Si provi a spiegarlo a loro cos’è una domenica sportiva che diventa sconcerto e rabbia. Bisognerebbe spiegarlo ai padri che non si chiamano Giorgio Sandri.
 
Bisognerebbe spiegarlo alle madri che pensano sia sufficiente averli educati bene, alle sorelle che credono che non commettere errori basti, ai padri che "non è toccato a me, non mi riguarda" che sarebbe potuto capitare anche a loro, che non sono diversi, che sarebbero potuti essere i loro figli, che sono solo stati fortunati, che non è una battaglia ideologica, ma di civiltà prima di tutto.

Bisognerebbe spiegarlo alle madri che essere Patrizia Moretti è stata una fottuta coincidenza e al posto di Federico potevamo esserci noi. Spieghiamolo alle madri così, con queste parole. Al posto di Federico potevamo esserci noi e quegli applausi indegni, rivoltanti e bestiali non uccidono soltanto (ancora una volta) la sua memoria, ma quella di quanti – troppi – Federico, suo malgrado, rappresenta.

giovedì 17 gennaio 2013

Il tempo di una sigaretta

Il mio vicino di casa è un brigatista.
Ci vediamo almeno otto minuti al giorno, lui sul suo balcone io sul mio, ognuno con la propria sigaretta tra le dita, ognuno avvolto nella propria giacca, ognuno coi suoi pensieri. Da circa due mesi ci vediamo per otto minuti al giorno, quelli necessari e sufficienti per fumare una sigaretta. All’inizio ci siamo ignorati, poi ci siamo studiati di nascosto e ora ci limitiamo a un cenno col capo. Ieri però ha sollevato lo sguardo due volte e ha sorriso. Un sorriso di quelli così pieni da trasfigurare il volto del mittente in tante briciole di umanità e contagiare il destinatario in un altrettanto largo sorriso. Nel congedarsi ha detto «Ciao!» e ha agitato la mano.
La nostra è una relazione clandestina. Talmente clandestina che ignoriamo l’uno le generalità dell’altra: è una relazione costruita con due nuvole di fumo che si scontrano nell’aria, un legame che sa di posacenere e si salda quotidianamente nella comune dipendenza.
Oggi mi ha rivolto la parola.
«Sorridi sempre agli sconosciuti che ti osservano da un balcone?».
«No, certo. Ma lei non è uno sconosciuto».
Gli dò del lei. D’altronde avrà circa settant’anni.
«Il tempo di una sigaretta ti basta per valutare le persone?».
«A dire il vero no, ma correrò il rischio».
Sorride.
«In questa casa le abbiamo assegnato un soprannome».
«Ah sì? E quale?».
«Il Brigatista».
Resta con la sigaretta a mezz’aria, incerto se prendermi sul serio, con uno strano ghigno sul volto.
«Fantasioso, non trovi?».
«Abbastanza, ma converrà con me che ne ha l’aria».
«Ho dei brigatisti l’idea di persone orribili. Ho l’aria di una persona orribile?».
Sembra sinceramente preoccupato.
«A dire il vero no».
«Sono un ex impiegato delle Poste. Sono in pensione da otto anni».
«Ciò non toglie che lei possa essere una persona orribile».
«Dunque credi che io sia una persona orribile?».
«Il fatto che io non lo creda non significa che lei non lo sia».
Sorride ancora una volta. Le sigarette sono al filtro.
«Ti aspetto domani, allora».
«Sarà un piacere fumare nuovamente con lei».
Sorrido anch’io ed entrambi chiudiamo le rispettive finestre.
Il mio vicino di casa ha l’aria del brigatista.

Otto Dix
Ritratto della giornalista Sylvia von Harden
olio e tempera su tavola

giovedì 8 novembre 2012

Il mio vicino di casa è uno scrittore

Il mio vicino di casa è uno scrittore.
A dire il vero non è il mio vicino di casa, perché abita nel palazzo di fronte al mio. E a essere del tutto onesti non sono neanche sicura che sia uno scrittore. Le mie coinquiline lo chiamano "il brigatista" e, in effetti, un po' ricorda i personaggi dei film ambientati negli anni di piombo, ma io preferisco pensare che sia uno scrittore.
L'ho notato in una calda mattina di ottobre: stavo fumando sul mio balcone e lui faceva lo stesso. Io in pigiama, lui anche. Ho capito che doveva essere uno scrittore perché indossava una giacca e la giacca doveva avere le toppe sulle maniche. Non si è girato, non ho visto le toppe, ma nella mia mente ho completato la giacca in questo modo. 
La giacca mi ha detto che è uno scrittore. Insomma, chi indossa una giacca di velluto sul pigiama! Be', io lo faccio. Oggi ho fumato con indosso il cappotto, il pigiama era troppo leggero. Ma quel giorno faceva piuttosto caldo. Non c'era bisogno di indossare una giacca. A meno che non fosse uno scrittore. 
Di lui spesso si vedono solo le gambe: oggi è steso sul suo letto con le finestre aperte. Può darsi che stia schiacciando un pisolino, ma sono fermamente convinta del fatto che abbia un pc (immaginare che usi una macchina da scrivere significherebbe volare con la fantasia, suvvia!) e che stia scrivendo il suo romanzo.
Non vive da solo. Ha una moglie (una compagna?). Neanche lei ha l'aria ordinaria, solo non mi incuriosisce. Pittrice? Fotografa? Attrice? Poco importa. Paradossalmente sono più incuriosita dal romanzo che sta scrivendo lui in questo momento, steso sul suo letto, con le ginocchia sollevate e i piedi chiusi in un paio di calzini blu, che scostano infastiditi un plaid in lana sintetica a fantasia scozzese blu elettrico e rosso. Chi è il protagonista, cosa gli è accaduto, a che punto del romanzo ha preteso di essere padrone delle proprie azioni ed essere lui a guidare chi l'ha creato. Sono risposte essenziali per capire chi è il mio vicino. 
Un giorno o l'altro gli farò un cenno. O magari no.
Potrei rimanere molto delusa se dovessi scoprire che in realtà è solo un ex impiegato in pensione.

Ph. animadicarta

venerdì 29 giugno 2012

Novantaquattresimo minuto

Novanta minuti sono lunghi.
Anche due anni se ci pensate, ma novanta minuti sanno essere lunghissimi.
Si entra in campo col cuore in gola e, forse, già sudaticci per l'eccitazione.
Come quando, poco prima di ogni esame, cerchi di ripetere come una silenziosa preghiera qual capitolo che sai così bene. Ma non servirà a nulla, perchè quella domanda non te la faranno e Kroos sarà sulla fascia destra.
I primi minuti sono quelli più freschi, difesa e attacco, fiato e presenza in campo. L'università è uguale: studi e porti a casa il risultato. Il nostro portiere para il primo attacco avversario ed io sono stata congedata dalla commissione d'esame con un trenta e lode, soffiando il nervosismo proprio come fa Gigi.
Gli esami però sono ancora dodici, è passato solo qualche minuto dal fischio di inizio e bisogna giocarne più di ottanta. Si gioca, si continua a giocare con il cervello e con il cuore, ma non avrei scommesso dieci lire bucate su un campionato così, perchè quando ti strappano via il cuore a metà partita è sempre un casino ritrovare lo schema giusto.
Ma io... io avevo la mia bussola e non ho mai navigato a vista.
Tornando al match, il cervello c'è: la Germania ci prova e ci riprova ad entrare, ma non gli riesce. Mario fa due goal importanti e la differenza la fanno i compagni di squadra. Anch'io ho ottenuto i due risultati più importanti grazie alla mia squadra e al Coach. Quel Coach.
Si va in vacanza con soddisfazione e consapevolezza: un po' come quando i giocatori vanno alle panchine e sono soddisfatti di quel che hanno dato e sentono la responsabilità degli ultimi quarantacinque minuti, i più lunghi per il risultato da difendere e per la stanchezza. Invece si rientra carichi, determinati a difendere i goal e, anzi, a cercarne altri. Peccato per quel fuorigioco di Balzaretti, ma va bene. Va bene anche tornare a casa con 29, ma il 9 sul mio libretto non è mai mancato.
A marzo ho deciso che ci sarei riuscita, che ies ai chen: farò di tutto per laurearmi a luglio!
Solo che attaccare e difendere insieme è un casino: la stanchezza comincia a farsi sentire, la bussola si sta smagnetizzando e va sistemata, la concentrazione cala e...
BAM! Calcio di rigore per la Germania e si va sul 2-1, ma va bene perchè è quasi finita. Il tifo si sente, il calore intorno anche.
Fischia francese di merda, fischia. Sono gli otto secondi più lunghi per gli Azzurri.
Proprio come l'ultimo esame. Fischia Mariolina, fischia.
"E' finita, è finita, è finita!"
Si va a Kiev.
Si va a Bari.
Scusate, ma io mi sento un po' SuperMario.

Io, oggi.